considerazione finale

Considerazione finale e personale dell'autore

Coinvolgere i bambini in un dialogo è, oggi, ancor più impegnativo, poiché condizionati (dagli adulti) a un'accelerazione sociale imposta dai nuovi mezzi di comunicazione (smartphone, tablet, pc, social, chat, ecc).
Questo non solo comporta uno sforzo iniziale nel rallentare abitudini diffuse e consolidate, ma anche la maggiore diffidenza dei bambini nell'essere chiamati direttamente ad esprimersi su argomenti importanti, che spesso li vedono solo come vittime o destinatari di un monologo.
Tuttavia, superata una prima diffidenza, i bambini desiderano manifestare due cose fondamentali: sono in grado di farlo e ho un'idea in proposito.

Il disegno ha manifestato, in modo più accentuato, il timore da parte dei bambini di fare "un bel disegno", nonostante le ripetute rassicurazioni sull'importanza dei contenuti e NON dell'aspetto. Tale preoccupazione, a mio avviso, denota una diffusa abitudine da parte degli adulti (e insegnanti) a pretendere un disegno "bello" in quanto essere "quello giusto", inteso come manifestazione della realtà così com'è e non come libera espressione creativa del bambino, quando (fino a una certa età) spesso tende a disegnare la realtà attraverso le proprie emozioni.

Tutti i bambini hanno mostrato di aver avuto occasione di conoscere l'argomento, vissuto in prima persona, conosciuto qualcuno che ha subito atti di bullismo. Nessuno ha chiesto cosa sia il "bullismo". Tuttavia molti hanno definito il bullo con caratteristiche di fragilità, aggressivo "per difesa", capace di provare anche piacere per la sua natura prevaricatrice.
Nella maggior parte dei casi il bullismo è stato rappresentato fisicamente, tralasciando l'aspetto meno visibile, ma più profondo, di quello psicologico. 

Stesso discorso per quelli che sono considerati "gregari", considerati forma minore del "bullismo" ma anche alibi per diluire la responsabilità e sentirsi quindi meno coinvolti. Non sono mancate le testimonianze per sminuire l'atto di bullismo, anche in questo caso per minimizzare e deresponsabilizzare.

In generale il bullo è percepito com protagonista unico e non spalleggiato; come fragile e non come consapevole della propria violenza; come individuo che prova piacere nell'essere cattivo e non come persona incapace delle proprie emozioni; come colpevole e non come incapace di rispettare le regole: quasi mai relazionato agli adulti e ai genitori, ma sempre artefice delle proprie colpe.

Infine, e questo è ciò che personalmente ritengo importante, è che al di là delle azioni disegnate o scritte, molti bambini hanno affrontato la possibilità di risolvere il problema del bullismo attraverso semplici suggerimenti: affetto, dialogo, confronto. Non ho riscontrato tracce di vendetta né di punizione, anche se non sono mancate espressioni ciniche di indifferenza o di opportunismo (come il tollerare l'atto di bullismo in cambio dell'apprezzamento da parte del bullo di turno, considerato nella scuola "popolare" quindi famoso) o disegni con luoghi di detenzione per i bulli.

Per concludere, confermo la mia convinzione: affrontare il tema del bullismo, come qualsiasi altro argomento, richiede tempo, perché il confronto necessita di una sua fisiologia che non può essere delegata alla scuola né a un film o a un episodio di cronaca. Confrontarsi vuol dire parlarne, buttare fuori, praticare quella terapia del racconto in cui ciascuno è coinvolto nell'ammettere che il problema esiste e che non esclude nessuno, poiché anche l'indifferenza è una forma di protagonismo.


Se tutto questo viene stimolato su base emozionale, allora si creano le basi per le suggestioni e favorire l'apertura mentale di ognuno. Ma per fare tutto questo occorre dedicare tempo alla lentezza.